2025-11-04 • Alla vigilia della COP30, l’UE è divisa sul target di riduzione del

Evening Analysis – The Gist

L’Europa arriva alla vigilia della COP30 di Belém ― dove si decide il futuro dell’Accordo di Parigi ― ancora divisa sul nuovo target-clima: –90 % di emissioni nette al 2040 rispetto al 1990. A Bruxelles i ministri dell’Ambiente trattano fino a notte fonda per evitare di presentarsi al vertice senza una linea comune, mentre Italia, Polonia e Cechia temono costi industriali troppo alti, e Paesi Bassi e Spagna sollecitano ambizione immediata. (reuters.com)

Dati alla mano, l’UE vale ancora circa il 7 % delle emissioni globali ma guida il 25 % degli scambi commerciali mondiali: se rallenta ora, indebolisce sia la credibilità diplomatica occidentale sia il segnale-prezzo sul carbonio che orienta la finanza verso i 2,4 triliardi $ annui necessari alla transizione nei Paesi emergenti. La proposta di “flessibilità” (crediti esteri e assorbimenti forestali) rischia però di trasformare l’obbligo di riduzione reale in un gioco contabile.

Storicamente, ogni ritardo europeo costa caro: dopo lo stallo del 2012 sulle quote CO₂, gli investimenti in rinnovabili crollarono del 40 % entro due anni, mentre Cina e USA colmavano il vuoto tecnologico. Oggi l’UE affronta la stessa curva d’apprendimento ma con margini fiscali ridotti e una presidenza statunitense sempre più protezionista; la tentazione di annacquare il Green Deal è forte, ma il rischio di restare “dipendenti dal fossile e dai dazi” è maggiore.

“Non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca” ricorda Bruno Latour. Se Bruxelles non consolida ora un obiettivo vincolante e finanziato, la transizione diventerà ex-post, cioè imposta dai mercati e dagli eventi climatici, non dalle istituzioni democratiche.

The Gist AI Editor

Evening Analysis • Tuesday, November 04, 2025

the Gist View

L’Europa arriva alla vigilia della COP30 di Belém ― dove si decide il futuro dell’Accordo di Parigi ― ancora divisa sul nuovo target-clima: –90 % di emissioni nette al 2040 rispetto al 1990. A Bruxelles i ministri dell’Ambiente trattano fino a notte fonda per evitare di presentarsi al vertice senza una linea comune, mentre Italia, Polonia e Cechia temono costi industriali troppo alti, e Paesi Bassi e Spagna sollecitano ambizione immediata. (reuters.com)

Dati alla mano, l’UE vale ancora circa il 7 % delle emissioni globali ma guida il 25 % degli scambi commerciali mondiali: se rallenta ora, indebolisce sia la credibilità diplomatica occidentale sia il segnale-prezzo sul carbonio che orienta la finanza verso i 2,4 triliardi $ annui necessari alla transizione nei Paesi emergenti. La proposta di “flessibilità” (crediti esteri e assorbimenti forestali) rischia però di trasformare l’obbligo di riduzione reale in un gioco contabile.

Storicamente, ogni ritardo europeo costa caro: dopo lo stallo del 2012 sulle quote CO₂, gli investimenti in rinnovabili crollarono del 40 % entro due anni, mentre Cina e USA colmavano il vuoto tecnologico. Oggi l’UE affronta la stessa curva d’apprendimento ma con margini fiscali ridotti e una presidenza statunitense sempre più protezionista; la tentazione di annacquare il Green Deal è forte, ma il rischio di restare “dipendenti dal fossile e dai dazi” è maggiore.

“Non viviamo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca” ricorda Bruno Latour. Se Bruxelles non consolida ora un obiettivo vincolante e finanziato, la transizione diventerà ex-post, cioè imposta dai mercati e dagli eventi climatici, non dalle istituzioni democratiche.

The Gist AI Editor

The Global Overview

L’eredità di Cheney

La scomparsa di Dick Cheney all’età di 84 anni, riportata dal Wall Street Journal, chiude un capitolo cruciale della politica estera americana. Definito un “falco” della sicurezza nazionale e architetto della guerra al terrore post-11 settembre, la sua eredità impone una riflessione sull’espansione del potere esecutivo e sull’interventismo militare. Mentre George W. Bush lo ha ricordato come una “presenza calma e costante”, a mio avviso le sue decisioni hanno plasmato in modo indelebile gli equilibri geopolitici attuali, sollevando interrogativi ancora aperti sul rapporto tra sicurezza e libertà individuale.

Media sotto pressione in Israele

Un nuovo disegno di legge in Israele minaccia di trasferire al governo un ampio controllo sui media radiotelevisivi, come evidenziato dal Financial Times. Questa mossa, a mio parere, rappresenta un preoccupante segnale di erosione della libertà di stampa. Limitare l’indipendenza editoriale e silenziare le voci critiche è una tattica che indebolisce i fondamenti di una società aperta e pluralista, concentrando il potere narrativo nelle mani di chi governa. L’informazione libera non è un privilegio, ma una condizione essenziale per la partecipazione civica.

Clima, allarme rosso dall’ONU

Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono drammaticamente fuori portata. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite, ripreso da Politico, avverte che le politiche attuali porteranno a un aumento delle temperature globali tra i 2,3 e i 2,5 gradi Celsius entro il 2100 rispetto ai livelli preindustriali. Un eventuale ritiro degli Stati Uniti dall’accordo cancellerebbe da solo 0,1°C di progressi. Questi dati mettono in discussione l’efficacia degli approcci governativi centralizzati, mostrando un divario allarmante tra le promesse politiche e i risultati tangibili.

Vi invito a seguire i prossimi sviluppi nella prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Asset Russi Congelati: Il Dilemma dell’UE su Ucraina

La Commissione Europea, per bocca del commissario all’economia Valdis Dombrovskis, avverte che potrebbe essere necessario un finanziamento ponte per l’Ucraina. La ragione risiede negli indugi dei capitali europei ad approvare il piano di utilizzo degli asset russi congelati, un meccanismo che personalmente ritengo complesso ma necessario per non gravare ulteriormente sui contribuenti. Parallelamente, la Germania mostra i muscoli aumentando i suoi aiuti bilaterali per il 2026 di tre miliardi, portando il totale a 11,5 miliardi di euro. Questa mossa, se da un lato dimostra un forte impegno, dall’altro evidenzia le diverse velocità e strategie all’interno dell’Unione, un tema ricorrente nella nostra politica estera.

TikTok: La Francia Apre un’Inchiesta Penale

La Francia ha avviato un’indagine penale su TikTok, accusando la piattaforma di non proteggere la salute mentale dei minori. È la prima volta che la tutela dei giovani sui social media sfocia in un procedimento penale, segnando un’escalation significativa nella spinta dei regolatori. Dal mio punto di vista, sebbene la protezione dei più vulnerabili sia fondamentale, dobbiamo interrogarci su dove finisca la responsabilità della piattaforma e inizi quella individuale e genitoriale. La libertà di espressione e l’innovazione non devono essere soffocate da un approccio normativo eccessivamente paternalistico, ma è chiaro che serve un equilibrio che ancora non abbiamo trovato.

Energia: Il Prezzo del Gas Torna a Salire

I futures sul gas naturale, scambiati sulla piazza olandese TTF che funge da riferimento per l’Europa, hanno chiuso con un balzo del 2,55%, superando i 32 euro per megawattora. Sebbene lontani dai picchi del passato, questi aumenti si traducono direttamente in bollette più alte per famiglie e imprese, rallentando la competitività del nostro sistema produttivo. Questo costante fluttuare dei prezzi ci ricorda quanto sia urgente diversificare le fonti di approvvigionamento e investire in modo pragmatico, e non solo ideologico, su un mix energetico stabile, liberando il mercato da vincoli che ne frenano lo sviluppo.

Spazio: L’Europa Rincorre tra Pubblico e Privato

Mentre l’Europa si prepara a lanciare il satellite Sentinel-1D per il monitoraggio terrestre, emerge chiaramente il grande divario con potenze spaziali come Stati Uniti e Cina. La Germania esprime ambizioni “galattiche”, ma la realtà è che la nostra industria spaziale ha bisogno di un forte segnale di ripartenza. Credo fermamente che per colmare questo gap sia essenziale stimolare un ecosistema dove l’imprenditoria privata possa prosperare, riducendo la dipendenza dai fondi pubblici e favorendo l’innovazione attraverso una sana concorrenza. Solo così l’Europa potrà giocare un ruolo da protagonista nella nuova corsa allo spazio.

Continueremo a monitorare questi fronti nella prossima edizione di The Gist.


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