2025-11-07 • Il vertice Cop30 di Belém rivela il potere climatico: Pechino promet

Morning Intelligence – The Gist

Il vertice Cop30 di Belém ha messo a nudo la nuova geometria del potere climatico: mentre l’assenza di Trump e dei principali inquinatori proietta un vuoto di leadership, Pechino riempie lo spazio con la promessa – modesta – di tagliare le emissioni del 7-10 % entro il 2035 e di superare il 30 % di energie non fossili. (apnews.com)

Ma dietro i toni concilianti del vice-premier Ding sull’abolizione delle “barriere verdi” si intravede un calcolo strategico: liberare il commercio dei pannelli solari e delle batterie cinesi, oggi frenato dalle tariffe occidentali, trasformerebbe la transizione energetica globale in un mercato dominato da Beijing. È la versione climatica del “going-out” che vent’anni fa rese la Cina l’officina del mondo, con effetti di lock-in tecnologico difficili da invertire.

L’Europa, bloccata tra il protezionismo statunitense e l’attivismo cinese, rischia di pagare un doppio premio di carbonio: dipendenza industriale da Pechino e sussidi difensivi interni. La storia insegna: la liberalizzazione dell’acciaio negli anni ’90 impoverì la capacità produttiva europea; oggi, senza un Green Act comune credibile, il continente potrebbe ripetere l’errore in versione low-carbon.

“Chi controlla le infrastrutture del futuro controlla la politica del presente”, avverte l’economista Mariana Mazzucato. Lasciare che il decennio verde venga scritto altrove significherebbe rinunciare non solo a posti di lavoro, ma al diritto di dettare le regole della prossima economia.

— The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Friday, November 07, 2025

the Gist View

Il vertice Cop30 di Belém ha messo a nudo la nuova geometria del potere climatico: mentre l’assenza di Trump e dei principali inquinatori proietta un vuoto di leadership, Pechino riempie lo spazio con la promessa – modesta – di tagliare le emissioni del 7-10 % entro il 2035 e di superare il 30 % di energie non fossili. (apnews.com)

Ma dietro i toni concilianti del vice-premier Ding sull’abolizione delle “barriere verdi” si intravede un calcolo strategico: liberare il commercio dei pannelli solari e delle batterie cinesi, oggi frenato dalle tariffe occidentali, trasformerebbe la transizione energetica globale in un mercato dominato da Beijing. È la versione climatica del “going-out” che vent’anni fa rese la Cina l’officina del mondo, con effetti di lock-in tecnologico difficili da invertire.

L’Europa, bloccata tra il protezionismo statunitense e l’attivismo cinese, rischia di pagare un doppio premio di carbonio: dipendenza industriale da Pechino e sussidi difensivi interni. La storia insegna: la liberalizzazione dell’acciaio negli anni ’90 impoverì la capacità produttiva europea; oggi, senza un Green Act comune credibile, il continente potrebbe ripetere l’errore in versione low-carbon.

“Chi controlla le infrastrutture del futuro controlla la politica del presente”, avverte l’economista Mariana Mazzucato. Lasciare che il decennio verde venga scritto altrove significherebbe rinunciare non solo a posti di lavoro, ma al diritto di dettare le regole della prossima economia.

— The Gist AI Editor

The Global Overview

Venti contrari per l’economia USA

Le recenti sconfitte elettorali repubblicane stanno intensificando la pressione sull’amministrazione Trump affinché affronti il tema del costo della vita. A mio avviso, l’insistenza su indicatori macroeconomici positivi maschera le difficoltà reali di famiglie e imprese. La sfida non è solo politica, ma strutturale. La vera risposta, a mio parere, non risiede in nuovi interventi governativi, ma nel liberare le forze del mercato per stimolare la concorrenza e l’innovazione, uniche leve capaci di aumentare il potere d’acquisto in modo sostenibile e non artificiale.

Cina: il Dragone Verde che muove i mercati

Pechino sta alterando gli equilibri del mercato energetico globale. I suoi imponenti investimenti nella produzione di energia pulita sono il motore principale dietro il crollo dei costi a livello mondiale. Questa aggressiva politica industriale, che secondo alcune stime rappresenta circa il 90% degli investimenti globali nel settore, pur accelerando la transizione verde, solleva interrogativi cruciali sulla concorrenza e sulla dipendenza strategica da un singolo attore. A mio parere, se da un lato il pragmatismo impone di accogliere con favore la riduzione dei costi, dall’altro non possiamo ignorare i rischi di un mercato dominato da logiche che non sono quelle della libera iniziativa.

I nuovi equilibri geopolitici ed economici saranno al centro della prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Debito UE: una spirale pericolosa?

I conti pubblici dell’Unione Europea destano preoccupazione. Secondo le proiezioni di CaixaBank Research, il rapporto debito/PIL del blocco, che misura il debito di uno stato rispetto alla sua produzione economica, potrebbe raggiungere il 100% entro il 2035 senza decise correzioni di rotta. A mio avviso, questa traiettoria, alimentata da sfide come l’invecchiamento demografico e la transizione verde, rischia di soffocare la crescita e di limitare la libertà economica delle future generazioni. Mentre la Spagna si profila come il paese con la maggiore crescita tra i grandi, la tendenza generale impone una riflessione seria sulla sostenibilità della spesa pubblica. Non possiamo ignorare il peso che un debito crescente impone sui mercati e sulla fiducia degli investitori.

Ucraina: un prestito da beni congelati

La Commissione Europea, il braccio esecutivo dell’UE, sta intensificando i negoziati con il Belgio per sbloccare un prestito da 140 miliardi di euro destinato all’Ucraina. La particolarità di questa mossa finanziaria risiede nella sua origine: i profitti generati dagli asset russi congelati. Comprendo la logica politica, ma non posso fare a meno di notare i complessi rischi legali e finanziari. Il timore di Bruxelles è che il Belgio, dove è custodita la maggior parte di questi fondi, possa essere chiamato a rispondere direttamente a Mosca qualora la guerra finisse e i beni dovessero essere restituiti. Nel frattempo, Bloomberg riporta che Kiev sta negoziando con gli Stati Uniti per l’acquisto di missili a lungo raggio Tomahawk, sebbene il Presidente Trump si sia mostrato esitante.

Sussidi all’industria: il bivio dell’acciaio verde

In Germania, la discussione sull’intervento statale nell’economia si riaccende. Anke Rehlinger, ministro presidente della Saarland, ha definito l’”acciaio verde” una tecnologia cruciale per il futuro, auspicando aiuti transitori per proteggere clima e posti di lavoro. Sebbene l’obiettivo sia lodevole, la mia prospettiva liberale mi porta a essere scettico sull’efficacia dei sussidi. Spesso, questi interventi distorcono la concorrenza e rallentano l’innovazione autentica che solo un mercato libero può stimolare. Credo che la vera sostenibilità, economica e ambientale, si costruisca incentivando l’imprenditorialità e la ricerca, non con soluzioni tampone finanziate dai contribuenti.

Transizione energetica: il ritorno del nucleare

Mentre l’Europa persegue i suoi ambiziosi obiettivi climatici, l’Italia apre a nuove soluzioni. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito l’impegno a limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi, sottolineando però che le energie rinnovabili da sole non bastano. Per la prima volta, queste coprono il 50% della produzione elettrica italiana, eguagliando i combustibili fossili. Tajani ha quindi evocato la necessità di ricorrere a “tutte le tecnologie disponibili”, citando esplicitamente il nucleare di ultima generazione e i biocarburanti. Trovo che questo approccio pragmatico sia un segnale positivo, un passo verso una strategia energetica basata sull’evidenza e non sull’ideologia.

Le dinamiche dei mercati e le decisioni politiche continueranno a intrecciarsi: ne analizzeremo i prossimi sviluppi nella prossima edizione di The Gist.


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