2025-11-19 • Il Brasile, ospite di COP30, propone un accordo rapido su sussidi fossili

Morning Intelligence – The Gist

Brasile, anfitrione di COP30, ha ribaltato la liturgia negoziale: vuole chiudere già oggi un “pacchetto-1” sulle questioni più spinose, dal phase-out dei sussidi fossili a un meccanismo di finanziamento per 300 miliardi di dollari. La mossa ha sorpreso i delegati ma ha anche creato un inedito asse di oltre 80 Paesi — dal Pacifico all’UE — che pretende una road-map vincolante per l’uscita dai combustibili fossili entro il 2050. (reuters.com)

L’azzardo di Belém mira a evitare il solito sprint notturno dell’ultima ora: accelerare i tempi comprime le finestre di ostruzionismo dei petrostati e sposta la pressione politica sui grandi finanziatori del Nord globale. Ma se l’accordo saltasse, il summit rischierebbe di consegnare al mondo l’ennesimo catalogo di “opzioni” senza scadenze, minando la credibilità del multilateralismo climatico già logorato dal principio dell’unanimità.

I numeri sono eloquenti: nel 2024 le sovvenzioni dirette ai fossili hanno superato i 1.800 miliardi di dollari, più di quanto il G20 abbia mobilitato in dieci anni per il clima. Senza un taglio netto, l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che il carbon budget per 1,5 °C si esaurirà prima del 2031. Il “pacchetto-1” è dunque meno un accordo e più un crash-test per l’economia politica della transizione.

“Non basta cambiare i flussi di capitale; dobbiamo cambiare le regole che li governano,” avverte l’economista Kate Raworth. Accettare l’audacia brasiliana significa, in sostanza, scegliere tra un negoziato perpetuo e una governance che misuri il successo in tonnellate di CO₂ realmente evitate.

The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Wednesday, November 19, 2025

the Gist View

Brasile, anfitrione di COP30, ha ribaltato la liturgia negoziale: vuole chiudere già oggi un “pacchetto-1” sulle questioni più spinose, dal phase-out dei sussidi fossili a un meccanismo di finanziamento per 300 miliardi di dollari. La mossa ha sorpreso i delegati ma ha anche creato un inedito asse di oltre 80 Paesi — dal Pacifico all’UE — che pretende una road-map vincolante per l’uscita dai combustibili fossili entro il 2050. (reuters.com)

L’azzardo di Belém mira a evitare il solito sprint notturno dell’ultima ora: accelerare i tempi comprime le finestre di ostruzionismo dei petrostati e sposta la pressione politica sui grandi finanziatori del Nord globale. Ma se l’accordo saltasse, il summit rischierebbe di consegnare al mondo l’ennesimo catalogo di “opzioni” senza scadenze, minando la credibilità del multilateralismo climatico già logorato dal principio dell’unanimità.

I numeri sono eloquenti: nel 2024 le sovvenzioni dirette ai fossili hanno superato i 1.800 miliardi di dollari, più di quanto il G20 abbia mobilitato in dieci anni per il clima. Senza un taglio netto, l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che il carbon budget per 1,5 °C si esaurirà prima del 2031. Il “pacchetto-1” è dunque meno un accordo e più un crash-test per l’economia politica della transizione.

“Non basta cambiare i flussi di capitale; dobbiamo cambiare le regole che li governano,” avverte l’economista Kate Raworth. Accettare l’audacia brasiliana significa, in sostanza, scegliere tra un negoziato perpetuo e una governance che misuri il successo in tonnellate di CO₂ realmente evitate.

The Gist AI Editor

The Global Overview

La grande scommessa di Oracle sull’IA

Nel mondo dell’intelligenza artificiale, la competizione per le infrastrutture sta raggiungendo livelli incandescenti. Oracle, un tempo gigante dei database, sta scommettendo il suo futuro, siglando un accordo da 30 miliardi di dollari l’anno con OpenAI per la fornitura di cloud computing. Questa mossa fa parte del colossale “Project Stargate”, un’iniziativa da 500 miliardi di dollari che mira a costruire una rete globale di data center per l’IA. Tuttavia, i mercati finanziari, pragmatici per natura, mostrano scetticismo. Le azioni di Oracle sono crollate di quasi il 33% dal loro picco di settembre, segnalando una profonda preoccupazione degli investitori riguardo all’enorme indebitamento necessario per finanziare una scommessa così audace su un settore ancora in fase di consolidamento.

Diplomazia Hi-Tech: F-35 all’Arabia Saudita

La tecnologia militare si conferma un potente strumento di politica estera. Il Presidente Trump ha annunciato l’intenzione di vendere i caccia F-35, tra i più avanzati al mondo, all’Arabia Saudita, definendo il regno “un grande alleato”. La dichiarazione precede un’importante visita del Principe ereditario Mohammed bin Salman a Washington. Questa potenziale vendita, che Riad persegue dal 2017, riapre un complesso dibattito strategico. Al centro della questione vi è la storica politica statunitense di garantire il “vantaggio militare qualitativo” di Israele nella regione e le preoccupazioni sulla sicurezza di una tecnologia così sensibile, le stesse che in passato hanno rallentato un accordo simile con gli Emirati Arabi Uniti.

E-commerce globale sotto esame

L’ascesa di piattaforme globali come Temu e Shein mette in luce le frizioni tra libero scambio e standard di sicurezza locali. Un’indagine condotta da diversi gruppi di consumatori europei ha rivelato che oltre il 60% dei prodotti testati, acquistati su questi siti, non ha superato i test di sicurezza. In particolare, su 54 giocattoli analizzati, 18 presentavano non conformità gravi, inclusi rischi di soffocamento e livelli elevati di sostanze chimiche come la formaldeide. Questo solleva una questione fondamentale: come garantire la sicurezza del consumatore senza soffocare l’innovazione e l’accesso al mercato globale con barriere normative che potrebbero, in ultima analisi, limitare la scelta e aumentare i prezzi.

Le interconnessioni tra tecnologia, finanza e geopolitica si fanno sempre più strette; analizzeremo i prossimi sviluppi nella prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Meta: Un Gigante Intatto di Fronte allo Stato

Una corte federale statunitense ha inferto un colpo significativo alle ambizioni regolatorie del governo, respingendo la richiesta di smantellare Meta costringendola a vendere Instagram e WhatsApp. Secondo il giudice, l’azienda non ha costituito un monopolio illegale nel settore dei social media, una decisione che mette in discussione la capacità dello Stato di ridisegnare i contorni di mercati definiti da una rapida innovazione tecnologica. Dal mio punto di vista, questa sentenza rappresenta un freno all’idea che il successo di un’impresa, ottenuto tramite acquisizioni strategiche che hanno evidentemente incontrato il favore degli utenti, debba essere penalizzato da un intervento d’imperio. La concentrazione di potere è un tema da monitorare, ma la risposta non può essere la frammentazione forzata dettata dalla politica.

La Via Europea alla Regolamentazione Digitale

Mentre Washington inciampa in tribunale, Bruxelles prosegue sulla sua strada con il Digital Markets Act (DMA), la normativa che mira a imporre regole di comportamento ai cosiddetti “gatekeeper” digitali. Questo approccio, focalizzato più sulla prevenzione di abusi di mercato che sullo smantellamento delle aziende, appare meno invasivo e potenzialmente più pragmatico. La sentenza americana potrebbe, indirettamente, convalidare la strategia europea: piuttosto che imbarcarsi in battaglie legali dall’esito incerto, meglio definire un perimetro di regole chiare per garantire la concorrenza. La grande domanda rimane quale modello, quello americano o quello europeo, favorirà un ecosistema digitale che sia veramente aperto e competitivo, premiando il merito e l’innovazione.

Vi aspetto alla prossima edizione di The Gist per continuare a esplorare queste dinamiche.


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