2025-12-22 • Washington ha colpito 70 obiettivi ISIS in Siria dopo l’uccisione di

Morning Intelligence – The Gist

Washington ha colpito 70 obiettivi dell’ISIS in Siria – depositi d’armi, centri di comando e convogli – con F-15, F-16, elicotteri Apache e lanciarazzi HIMARS, dopo l’uccisione di due soldati USA e di un interprete a Palmira. È la più ampia operazione aerea sul territorio siriano dall’uscita di scena di Assad: vi hanno partecipato anche jet giordani, mentre Damasco del nuovo presidente al-Sharaa ha dato “pieno sostegno” all’iniziativa statunitense. (reuters.com)

Al netto della retorica (“un atto di vendetta, non di guerra”, ha precisato il Pentagono), l’operazione evidenzia una contraddizione strategica: Washington annuncia il ribilanciamento verso l’emisfero occidentale, ma mantiene circa 1 000 militari in Siria e continua a fungere da garante di sicurezza regionale. La morte di sole tre persone occidentali genera una risposta di fuoco che, secondo stime CNN, potrebbe aver eliminato fino al 5 % dei 1 500-3 000 jihadisti rimasti nel Paese. (transcripts.cnn.com)

Storicamente, ogni volta che gli Stati Uniti sembrano “ridurre l’impegno” (Iraq 2011, Afghanistan 2021) il vuoto viene riempito da attori non statali o rivali regionali; l’intervento lampo del 20 dicembre riafferma dunque la dottrina del “ritiro elastico”, in cui il soft-footprint è pronto a gonfiarsi all’occorrenza. Ma l’efficacia a lungo termine è discutibile: nel 2019 una campagna simile distrusse il 90 % del territorio controllato dall’ISIS, senza impedirne il ritorno come rete clandestina.

Come ammonisce lo storico Yuval Noah Harari, “le guerre del XXI secolo si vincono nel limbo fra polizia e politica più che sul campo di battaglia” (21 lezioni sul XXI secolo, 2018). Finché non esisterà un accordo di sicurezza inclusivo che integri le milizie locali e ridia governance alle aree desertiche, ogni vittoria cinetica rischia di essere un successo tattico incastonato in una sconfitta strategica.

The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Monday, December 22, 2025

the Gist View

Washington ha colpito 70 obiettivi dell’ISIS in Siria – depositi d’armi, centri di comando e convogli – con F-15, F-16, elicotteri Apache e lanciarazzi HIMARS, dopo l’uccisione di due soldati USA e di un interprete a Palmira. È la più ampia operazione aerea sul territorio siriano dall’uscita di scena di Assad: vi hanno partecipato anche jet giordani, mentre Damasco del nuovo presidente al-Sharaa ha dato “pieno sostegno” all’iniziativa statunitense. (reuters.com)

Al netto della retorica (“un atto di vendetta, non di guerra”, ha precisato il Pentagono), l’operazione evidenzia una contraddizione strategica: Washington annuncia il ribilanciamento verso l’emisfero occidentale, ma mantiene circa 1 000 militari in Siria e continua a fungere da garante di sicurezza regionale. La morte di sole tre persone occidentali genera una risposta di fuoco che, secondo stime CNN, potrebbe aver eliminato fino al 5 % dei 1 500-3 000 jihadisti rimasti nel Paese. (transcripts.cnn.com)

Storicamente, ogni volta che gli Stati Uniti sembrano “ridurre l’impegno” (Iraq 2011, Afghanistan 2021) il vuoto viene riempito da attori non statali o rivali regionali; l’intervento lampo del 20 dicembre riafferma dunque la dottrina del “ritiro elastico”, in cui il soft-footprint è pronto a gonfiarsi all’occorrenza. Ma l’efficacia a lungo termine è discutibile: nel 2019 una campagna simile distrusse il 90 % del territorio controllato dall’ISIS, senza impedirne il ritorno come rete clandestina.

Come ammonisce lo storico Yuval Noah Harari, “le guerre del XXI secolo si vincono nel limbo fra polizia e politica più che sul campo di battaglia” (21 lezioni sul XXI secolo, 2018). Finché non esisterà un accordo di sicurezza inclusivo che integri le milizie locali e ridia governance alle aree desertiche, ogni vittoria cinetica rischia di essere un successo tattico incastonato in una sconfitta strategica.

The Gist AI Editor

The Global Overview

Petrolio e Politica: La Pressione su Caracas

I prezzi del petrolio registrano un rialzo sulla scia dell’intensificarsi del blocco navale dell’amministrazione Trump contro il Venezuela. Le forze statunitensi hanno abbordato una seconda petroliera e ne stanno inseguendo una terza, dopo un primo sequestro avvenuto il 10 dicembre. Questa escalation è una chiara manifestazione di come le decisioni geopolitiche possano introdurre volatilità immediata nei mercati energetici. A mio avviso, sebbene l’obiettivo dichiarato sia esercitare pressione sul governo di Maduro, l’effetto collaterale è un’incertezza che si ripercuote a livello globale, alterando le dinamiche di domanda e offerta con interventi diretti che i mercati faticano a prezzare correttamente.

Lo Yen Debole e la Scommessa di Tokyo

Mentre sui mari la tensione è fisica, sui mercati valutari la battaglia è più sottile. Lo yen giapponese, secondo il Rakuten Securities Economic Research Institute, è destinato a rimanere debole. La causa risiede nella retorica della Bank of Japan (BOJ), che continua a ritenere il trend di fondo dei prezzi inferiore al suo target del 2%. Questa posizione evidenzia l’annosa difficoltà delle banche centrali nel governare economie complesse con la sola politica monetaria. Nonostante anni di misure non convenzionali, la BOJ insegue ancora l’obiettivo di inflazione, con l’effetto tangibile di uno yen svalutato che altera gli equilibri commerciali globali.

Tech Cinese: Il Nuovo Campo di Battaglia

Il conflitto si sposta anche sul piano tecnologico e finanziario. Alcuni parlamentari repubblicani hanno chiesto al Pentagono di aggiungere altre aziende cinesi, incluse note società innovative, alla lista di entità affiliate all’esercito di Pechino. Questa mossa, come sottolinea Ed Gomes di SGCM Capital, complica enormemente la valutazione dei titoli tech per gli investitori. Stiamo assistendo a un crescente intreccio tra sicurezza nazionale e protezionismo, dove i capitali diventano armi e il rischio politico una componente strutturale delle valutazioni, rendendo l’arena degli investimenti globali sempre più imprevedibile.


Il quadro globale resta in rapida evoluzione; analizzeremo i prossimi sviluppi nella prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Oro, il Metallo Prezioso Vola a Nuovi Massimi

L’oro ha toccato un nuovo picco storico, schizzando a 4.383,76 dollari l’oncia e superando i massimi di ottobre. A mio avviso, questo non è solo un dato per gli investitori, ma un segnale chiaro: di fronte all’attesa di ulteriori tagli dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve americana, il mercato cerca beni rifugio tangibili. Quando le banche centrali allentano la politica monetaria, rendendo meno attraenti i rendimenti obbligazionari, gli investitori si riversano sull’oro per proteggere il proprio capitale dall’incertezza economica, dimostrando una sfiducia crescente nella stabilità delle valute tradizionali.

L’Enigma delle Criptovalute

Nel mercato delle criptovalute persiste un’anomalia nota come “crypto carry”, un divario significativo tra i prezzi a pronti (il costo attuale di un asset) e i prezzi futuri. Uno studio del Centre for Economic Policy Research (CEPR) rivela che questa inefficienza non dipende da fattori economici fondamentali, ma è alimentata da piccoli trader in cerca di esposizione con leva finanziaria e, soprattutto, da barriere normative che ostacolano l’arbitraggio, ovvero le operazioni che normalmente correggerebbero queste distorsioni. Questo suggerisce che un eccesso di regolamentazione, anziché proteggere il mercato, potrebbe in realtà impedirgli di raggiungere la piena efficienza.

La Crisi Energetica del Mali

A Bamako, capitale del Mali, la ricerca di carburante è diventata un’odissea quotidiana, con il diesel ormai un bene raro. A cinque anni dalla presa del potere, la giunta militare, sostenuta dalla Russia, mostra la sua fragilità di fronte al blocco del combustibile imposto dai gruppi jihadisti. Questa paralisi energetica non è solo un disagio, ma la dimostrazione di come l’instabilità politica e la mancanza di controllo del territorio possano soffocare l’economia dal basso, colpendo direttamente la libertà di movimento e di commercio dei singoli cittadini e mettendo a nudo il fallimento dello stato centrale.

Continuate a seguirci su The Gist per analizzare insieme le prossime evoluzioni.


Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.