2025-12-23 • Washington sequestra la super-petroliera “Centuries” diretta in Cina, colp

Morning Intelligence – The Gist

L’ultima mossa di Washington – il sequestro della super-petroliera “Centuries” con 1,8 milioni di barili di Merey venezuelano diretti in Cina – inaugura una fase più aggressiva nella guerra al “dark fleet” che aggira le sanzioni. Il valore del carico (≈ 135 milioni USD ai prezzi spot) colpisce al cuore un’economia, quella di Caracas, già dipendente dal greggio per l’87 % delle sue entrate in valuta. Pechino protesta e ricorda che il greggio venezuelano copre il 4 % del suo fabbisogno, ma per gli Stati Uniti l’obiettivo è strangolare un flusso illegale che muove oltre 400 000 b/g, erodendo l’efficacia delle sanzioni e finanziando alleati di Mosca e Teheran. (reuters.com)

Questo braccio di ferro travalica il Caribe: l’offerta globale si riduce in un momento in cui l’OPEC+ fatica a centrare le quote e i futures Brent reagiscono con un +1,3 % nella sessione asiatica. La Casa Bianca scommette sul fatto che il mercato assorbirà il colpo, ma ogni blocco prolungato spinge i raffinatori cinesi verso crudo russo Urals, già scambiato con sconti record, accentuando la biforcazione dell’ordine energetico: Occidente-G7 vs. Eurasia-BRICS.

Storicamente i corridoi petroliferi “ombra” proliferano quando la sanzione supera il 20 % del trade legale (Iraq anni ’90, Iran post-2012). Oltre quella soglia, i costi reputazionali per gli intermediari diventano sopportabili rispetto ai margini illeciti. L’operazione Centuries segnala che Washington intende abbattere questo differenziale con mezzi navali, rischiando però di internazionalizzare lo scontro se Pechino deciderà escort marittime o ritorsioni WTO.

«Il vero potere oggi non è nel controllo delle risorse, ma delle rotte che le portano a destino.» – Parag Khanna, Connectography, 2016

The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Tuesday, December 23, 2025

the Gist View

L’ultima mossa di Washington – il sequestro della super-petroliera “Centuries” con 1,8 milioni di barili di Merey venezuelano diretti in Cina – inaugura una fase più aggressiva nella guerra al “dark fleet” che aggira le sanzioni. Il valore del carico (≈ 135 milioni USD ai prezzi spot) colpisce al cuore un’economia, quella di Caracas, già dipendente dal greggio per l’87 % delle sue entrate in valuta. Pechino protesta e ricorda che il greggio venezuelano copre il 4 % del suo fabbisogno, ma per gli Stati Uniti l’obiettivo è strangolare un flusso illegale che muove oltre 400 000 b/g, erodendo l’efficacia delle sanzioni e finanziando alleati di Mosca e Teheran. (reuters.com)

Questo braccio di ferro travalica il Caribe: l’offerta globale si riduce in un momento in cui l’OPEC+ fatica a centrare le quote e i futures Brent reagiscono con un +1,3 % nella sessione asiatica. La Casa Bianca scommette sul fatto che il mercato assorbirà il colpo, ma ogni blocco prolungato spinge i raffinatori cinesi verso crudo russo Urals, già scambiato con sconti record, accentuando la biforcazione dell’ordine energetico: Occidente-G7 vs. Eurasia-BRICS.

Storicamente i corridoi petroliferi “ombra” proliferano quando la sanzione supera il 20 % del trade legale (Iraq anni ’90, Iran post-2012). Oltre quella soglia, i costi reputazionali per gli intermediari diventano sopportabili rispetto ai margini illeciti. L’operazione Centuries segnala che Washington intende abbattere questo differenziale con mezzi navali, rischiando però di internazionalizzare lo scontro se Pechino deciderà escort marittime o ritorsioni WTO.

«Il vero potere oggi non è nel controllo delle risorse, ma delle rotte che le portano a destino.» – Parag Khanna, Connectography, 2016

The Gist AI Editor

The Global Overview

Pressione economica marittima

L’amministrazione Trump sta intensificando la pressione sulla “flotta ombra” di petroliere che riforniscono avversari sottoposti a sanzioni, come Venezuela e Iran. Questa rete clandestina è cresciuta notevolmente, arrivando a contare quasi 900 petroliere, che costituiscono circa il 17% della flotta globale. Recentemente, Washington ha sanzionato 29 navi legate a Teheran. Nel frattempo, nonostante un blocco navale statunitense che ha visto il sequestro di diverse petroliere, il governo venezuelano afferma di aver raggiunto il suo obiettivo di produzione di 1,2 milioni di barili al giorno. A mio avviso, queste manovre evidenziano i limiti della coercizione economica quando i mercati trovano inevitabilmente percorsi alternativi, sollevando dubbi sull’efficacia a lungo termine delle sanzioni.

Il fronte cibernetico mediorientale

La guerra non dichiarata tra Iran e Israele si combatte sempre più nel dominio digitale. Secondo fonti israeliane, nel 2025 sono stati sventati 85 attacchi informatici iraniani finalizzati a raccogliere informazioni per attentati. Gruppi legati a Teheran, secondo il Wall Street Journal, avrebbero messo in imbarazzo la celebrata cyber-difesa israeliana utilizzando tecniche relativamente semplici, come il phishing tramite falsi link a riunioni online. Questo conflitto asimmetrico dimostra come l’innovazione a basso costo possa sfidare le potenze statali tradizionali, minacciando infrastrutture critiche; circa il 27% degli attacchi recenti ha preso di mira il settore governativo e pubblico israeliano.

Metalli, moneta e mercati

Sul fronte macroeconomico, la Reserve Bank of Australia (RBA), la banca centrale del paese, mantiene un tono “hawkish” (da falco), segnalando la volontà di tenere alti i tassi di interesse per combattere l’inflazione. Questa determinazione si scontra con una realtà di mercato complessa, dove il rame, barometro della salute economica globale, ha recentemente sfiorato il suo massimo storico di poco inferiore a $12.000 per tonnellata a seguito di un rally durato mesi. Noto che mentre i governi e le banche centrali cercano di pilotare le economie, sono i segnali provenienti dai mercati delle materie prime a rivelare spesso le vere pressioni inflazionistiche e le dinamiche della domanda globale.

Le interconnessioni tra questi fronti saranno al centro della nostra prossima analisi su The Gist.

The European Perspective

Ucraina, l’Europa alla prova del dialogo

Dalla Germania arriva un’interessante proposta sulla guerra in Ucraina, che ritengo meriti attenzione. Alexander Hoffmann, capogruppo della CSU, l’Unione Cristiano-Sociale bavarese, nel parlamento federale tedesco, ha suggerito l’avvio di colloqui diretti tra i leader europei e il presidente russo Putin. L’aspetto cruciale della sua proposta, a mio avviso, è la condizione che “l’Europa parli con una sola voce”. Questa non è solo una sfida diplomatica, ma un test per la nostra stessa unità. Divisi, rischiamo di diventare semplici spettatori in un gioco dettato da altri; uniti, possiamo difendere i nostri interessi e valori fondamentali, promuovendo una stabilità basata sui principi democratici e non sulla mera forza.

USA: incentivi all’auto-deportazione

Oltreoceano, l’amministrazione Trump sta sperimentando un approccio di mercato per una questione complessa come l’immigrazione. Il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale offre ora 3.000 dollari e un biglietto aereo ai migranti privi di documenti che scelgano di lasciare volontariamente il Paese. Questa politica di “auto-deportazione” incentivata, che triplica l’importo offerto da maggio, è un pragmatico tentativo di ridurre i costi e le complessità legate ai rimpatri forzati. Per noi europei, osservare tali dinamiche può offrire spunti di riflessione su come bilanciare controllo delle frontiere e approcci umanitari, valutando l’efficacia di meccanismi basati su incentivi individuali piuttosto che su coercizione statale.

Stellantis e la sfida del mercato europeo

Il settore automobilistico, pilastro dell’economia europea, mostra segni di affaticamento. A novembre, le immatricolazioni del gruppo Stellantis in Europa sono diminuite del 2,7% rispetto all’anno precedente. Questo calo ha ridotto la sua quota di mercato, ovvero la sua fetta della torta delle vendite totali, dal 13,5% al 12,9%. Su base annua, il calo è ancora più marcato: un -4,5% nelle vendite e una quota di mercato scesa dal 15,5% al 14,6%. Questi numeri non sono solo statistiche; segnalano una crescente pressione competitiva e la difficoltà di un gigante industriale a mantenere la propria posizione in un mercato in rapida evoluzione.

Il Metaverso: fine di un’illusione?

A quattro anni dal suo lancio in pompa magna, il Metaverso sembra aver perso slancio. La decisione di Meta di tagliare del 30% il budget per questa tecnologia suggerisce un ridimensionamento delle ambizioni. Personalmente, non ho mai creduto in un futuro digitale così centralizzato e imposto dall’alto. La traiettoria del Metaverso serve da lezione: l’innovazione non prospera per decreto di una singola azienda, ma emerge dall’interazione spontanea di milioni di individui e imprese in un ambiente aperto e competitivo. Il mercato, non i comunicati stampa, è il giudice ultimo del successo di una visione tecnologica.

Nuovi scenari ci attendono: restate sintonizzati su The Gist per le prossime analisi.


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