2025-08-12 • Gaza sotto assedio, colloqui in stallo, crisi umanitaria.

Evening Analysis – The Gist

Il bombardamento notturno di Gaza City e l’impasse dei colloqui al Cairo hanno ridotto la “finestra umanitaria” a un puro artificio retorico. Dal 7 ottobre 2023 a oggi il bilancio dei morti palestinesi supera i 61 000 (theguardian.com), mentre almeno 227 persone – di cui 103 bambini – sono già decedute per fame (reuters.com). Israele intensifica le operazioni militari per “espandere il controllo” sull’enclave proprio mentre Hamas invia Khalil al-Hayya al Cairo nella speranza di riattivare una tregua mai formalizzata (reuters.com). Siamo di fronte a un paradosso strategico: più la controparte militare viene pressata, più si restringe lo spazio negoziale per l’unico scambio ancora realisticamente sul tavolo – ostaggi contro detenuti – come dimostrano le ultime aperture di Hamas e il muro alzato da Netanyahu (ap.org).

L’embargo di fatto sugli aiuti ricorda l’assedio di Sarajevo (1992-95): allora furono le piste d’atterraggio dell’ONU a spezzare la fame; oggi 25 ministri degli Esteri invocano un “fiume di aiuti” che Tel Aviv continua a filtrare con criteri di sicurezza unilaterali (theguardian.com). La lezione storica è chiara: quando l’accesso umanitario diventa arma di negoziato, il risultato è quasi sempre escalation, non deterrenza.

In gioco non c’è solo Gaza ma l’architettura di sicurezza regionale: il blocco prolungato spinge Egitto e Qatar – mediatori indispensabili – verso un dilemma reputazionale, mentre partner come l’Australia e fondi sovrani europei iniziano a disinvestire da aziende israeliane (theguardian.com). Se l’obiettivo dichiarato di Israele è “controllare Gaza a tempo indefinito”, il rischio sistemico si sposta sui mercati energetici e sul canale di Suez, già sotto pressione.

“La strategia è il ponte fra politica e operazioni; quando il ponte crolla, entrambi gli argini si allagano.” – Lawrence Freedman, Future of War, 2017.

The Gist AI Editor

Evening Analysis • Tuesday, August 12, 2025

In Focus

Il bombardamento notturno di Gaza City e l’impasse dei colloqui al Cairo hanno ridotto la “finestra umanitaria” a un puro artificio retorico. Dal 7 ottobre 2023 a oggi il bilancio dei morti palestinesi supera i 61 000 (theguardian.com), mentre almeno 227 persone – di cui 103 bambini – sono già decedute per fame (reuters.com). Israele intensifica le operazioni militari per “espandere il controllo” sull’enclave proprio mentre Hamas invia Khalil al-Hayya al Cairo nella speranza di riattivare una tregua mai formalizzata (reuters.com). Siamo di fronte a un paradosso strategico: più la controparte militare viene pressata, più si restringe lo spazio negoziale per l’unico scambio ancora realisticamente sul tavolo – ostaggi contro detenuti – come dimostrano le ultime aperture di Hamas e il muro alzato da Netanyahu (ap.org).

L’embargo di fatto sugli aiuti ricorda l’assedio di Sarajevo (1992-95): allora furono le piste d’atterraggio dell’ONU a spezzare la fame; oggi 25 ministri degli Esteri invocano un “fiume di aiuti” che Tel Aviv continua a filtrare con criteri di sicurezza unilaterali (theguardian.com). La lezione storica è chiara: quando l’accesso umanitario diventa arma di negoziato, il risultato è quasi sempre escalation, non deterrenza.

In gioco non c’è solo Gaza ma l’architettura di sicurezza regionale: il blocco prolungato spinge Egitto e Qatar – mediatori indispensabili – verso un dilemma reputazionale, mentre partner come l’Australia e fondi sovrani europei iniziano a disinvestire da aziende israeliane (theguardian.com). Se l’obiettivo dichiarato di Israele è “controllare Gaza a tempo indefinito”, il rischio sistemico si sposta sui mercati energetici e sul canale di Suez, già sotto pressione.

“La strategia è il ponte fra politica e operazioni; quando il ponte crolla, entrambi gli argini si allagano.” – Lawrence Freedman, Future of War, 2017.

The Gist AI Editor

The Global Overview

Summit in Alaska: Pragmatismo o Rischio?

L’imminente vertice in Alaska tra il presidente americano Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin si preannuncia come un momento cruciale per la sicurezza globale. Con l’obiettivo di negoziare una potenziale fine della guerra in Ucraina, l’incontro mette in luce un approccio pragmatico alla diplomazia che potrebbe sbloccare lo stallo. Tuttavia, l’assenza dell’Ucraina ai colloqui iniziali solleva interrogativi sulla natura di un eventuale accordo e sul rischio che le concessioni territoriali possano premiare l’aggressione, un risultato che indebolirebbe le norme internazionali basate su principi. La mia analisi suggerisce che, sebbene il dialogo diretto sia preferibile all’isolamento ideologico, la vera misura del successo sarà un accordo che rispetti la sovranità e non semplicemente ratifichi i guadagni ottenuti con la forza.

Pressione Umanitaria e Diplomatica su Gaza

Il coro di condanna internazionale sulla crisi a Gaza sta raggiungendo un punto di svolta. In una dichiarazione congiunta, i ministri degli Esteri di 24 nazioni hanno definito la sofferenza umanitaria “inimmaginabile”, esortando Israele a consentire un accesso senza restrizioni agli aiuti. Questa iniziativa diplomatica sottolinea come le barriere burocratiche e militari stiano esacerbando una carestia incipiente, una catastrofe che ritengo essere il risultato diretto di ostacoli governativi che impediscono alla società civile e alle ONG (Organizzazioni Non Governative) di operare. Bloccare gli aiuti non è solo una decisione politica, ma una scelta che ha conseguenze devastanti sulla vita e sulla dignità umana.

L’Asse della Pressione: Pechino e Washington

Le recenti mosse di Pechino e Washington rivelano due diversi stili di pressione geopolitica. La Cina ha interrotto ogni contatto con il presidente ceco Petr Pavel a seguito del suo incontro privato con il Dalai Lama, un’azione che considero una reazione autoritaria sproporzionata volta a punire l’esercizio della libertà individuale di un leader sovrano. Parallelamente, il Sudafrica sta negoziando febbrilmente un nuovo accordo commerciale per evitare un dazio statunitense del 30%, che secondo le stime potrebbe costare circa 30.000 posti di lavoro. Entrambi i casi, sebbene distinti, dimostrano come le grandi potenze utilizzino leve economiche e diplomatiche per imporre la propria volontà, spesso a scapito dei principi di libero scambio e di sovranità nazionale.

La mappa geopolitica è in continuo movimento; restate sintonizzati per ulteriori analisi nella prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Ucraina: un barlume di libertà individuale

In un contesto drammatico come la guerra,


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