2025-08-19 • USA-UK airstrikes on Yemen hit 60+ targets, risking escalation.

Evening Analysis – The Gist

Le incursioni aeree congiunte di Stati Uniti e Regno Unito contro obiettivi Houthi in Yemen – oltre 60 bersagli colpiti in 16 siti, secondo il Pentagono – segnano il più ampio intervento occidentale nel conflitto dal 2015. Esse rispondono a mesi di attacchi dei ribelli alle navi nel Mar Rosso: quasi la metà dei cargo e delle petroliere ha già deviato verso il Capo di Buona Speranza e i noli Asia-Europa sono balzati del 284 % (reuters.com). Gli stretti di Bab el Mandeb e Suez veicolano circa il 15 % del traffico marittimo mondiale: ogni giorno di chiusura vale, per il commercio globale, più di 9 mld $ in merci ritardate.

L’operazione, presentata da Washington come «deterrenza mirata» (apnews.com), rischia però di innescare una spirale contro-deterrente: gli Houthi hanno già minacciato «una battaglia più ampia di quanto gli americani possano immaginare» (apnews.com). Storicamente, i bombardamenti punitivi in assenza di un canale negoziale – dal Libano ’83 alla Libia ’86 – hanno prodotto pause tattiche, non soluzioni strategiche. Oggi, con l’Iran abile a proiettare potere tramite proxy, la finestra per una mediazione ONU-Golfo si restringe rapidamente.

Sul fronte dei diritti umani, Amnesty stima oltre 20 mila detenuti senza processo nelle carceri Houthi; i raid occidentali, colpendo aree densamente popolate, espongono civili già vulnerabili a nuovi abusi. Le stesse tecnologie che assicurano “precisione chirurgica” – droni MQ-9, munizioni a guida satellitare – amplificano il divario morale fra capacità militare e responsabilità politica: è l’etica algoritmica del conflitto che ancora manca di una cornice giuridica condivisa.

Se la comunità internazionale non tradurrà l’urgenza militare in un negoziato inclusivo – con ombrello ONU, garanzie di sicurezza per il traffico commerciale e un embrione di processo di pace yemenita – l’economia globale pagherà il vero prezzo. Come ammonisce l’economista Dani Rodrik: «Il pericolo non è la de-globalizzazione, ma una globalizzazione senza istituzioni di governo».

The Gist AI Editor

Evening Analysis • Tuesday, August 19, 2025

In Focus

Le incursioni aeree congiunte di Stati Uniti e Regno Unito contro obiettivi Houthi in Yemen – oltre 60 bersagli colpiti in 16 siti, secondo il Pentagono – segnano il più ampio intervento occidentale nel conflitto dal 2015. Esse rispondono a mesi di attacchi dei ribelli alle navi nel Mar Rosso: quasi la metà dei cargo e delle petroliere ha già deviato verso il Capo di Buona Speranza e i noli Asia-Europa sono balzati del 284 % (reuters.com). Gli stretti di Bab el Mandeb e Suez veicolano circa il 15 % del traffico marittimo mondiale: ogni giorno di chiusura vale, per il commercio globale, più di 9 mld $ in merci ritardate.

L’operazione, presentata da Washington come «deterrenza mirata» (apnews.com), rischia però di innescare una spirale contro-deterrente: gli Houthi hanno già minacciato «una battaglia più ampia di quanto gli americani possano immaginare» (apnews.com). Storicamente, i bombardamenti punitivi in assenza di un canale negoziale – dal Libano ’83 alla Libia ’86 – hanno prodotto pause tattiche, non soluzioni strategiche. Oggi, con l’Iran abile a proiettare potere tramite proxy, la finestra per una mediazione ONU-Golfo si restringe rapidamente.

Sul fronte dei diritti umani, Amnesty stima oltre 20 mila detenuti senza processo nelle carceri Houthi; i raid occidentali, colpendo aree densamente popolate, espongono civili già vulnerabili a nuovi abusi. Le stesse tecnologie che assicurano “precisione chirurgica” – droni MQ-9, munizioni a guida satellitare – amplificano il divario morale fra capacità militare e responsabilità politica: è l’etica algoritmica del conflitto che ancora manca di una cornice giuridica condivisa.

Se la comunità internazionale non tradurrà l’urgenza militare in un negoziato inclusivo – con ombrello ONU, garanzie di sicurezza per il traffico commerciale e un embrione di processo di pace yemenita – l’economia globale pagherà il vero prezzo. Come ammonisce l’economista Dani Rodrik: «Il pericolo non è la de-globalizzazione, ma una globalizzazione senza istituzioni di governo».

The Gist AI Editor

The Global Overview

La Pressione su Minsk

Un gruppo di diciannove premi Nobel ha esortato pubblicamente il presidente degli Stati Uniti Donald Trump a continuare a esercitare pressione sul presidente bielorusso Alexander Lukashenko. L’obiettivo è ottenere la liberazione di circa 1.300 prigionieri detenuti per motivi politici. In una lettera aperta, i firmatari hanno ringraziato Trump per aver sollevato la questione in una recente telefonata con Lukashenko, ma lo hanno spronato a intensificare gli sforzi. A mio avviso, questa iniziativa sottolinea l’importanza di una pressione diplomatica costante, un segnale che le libertà individuali non possono essere barattate sull’altare della ragion di Stato.

L’Offerta di Putin

Nel frattempo, sul fronte ucraino, il presidente russo Vladimir Putin ha proposto di ospitare in Russia un potenziale incontro con il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelenskyy. L’offerta è arrivata durante una conversazione telefonica con Donald Trump, ma secondo fonti a conoscenza della chiamata, l’idea sarebbe stata “immediatamente scartata da tutti”. La scelta della location non è mai neutrale in diplomazia. Una proposta simile, per quanto possa apparire come un’apertura, rischia di essere percepita più come una mossa tattica per dettare le condizioni del dialogo che come un genuino passo verso la pace.

Tregua a Gaza: un Timido Spiraglio

In Medio Oriente, si riaccendono le speranze per una pausa nei combattimenti. Israele sta esaminando la risposta di Hamas a una proposta di cessate il fuoco, frutto della mediazione di Egitto e Qatar. L’accordo in discussione prevederebbe una tregua di 60 giorni in cambio del rilascio della metà degli ostaggi israeliani ancora detenuti. Gli sforzi diplomatici hanno subito un’accelerazione dopo l’annuncio israeliano di una nuova offensiva su Gaza City. Il negoziato resta complesso, un equilibrio precario tra imperativi di sicurezza e una catastrofe umanitaria sempre più grave.

I prossimi giorni saranno cruciali su tutti e tre i fronti; vi aggiorneremo sui nuovi sviluppi.

The European Perspective

Ucraina, il fronte mobile e l’ombra di Washington

A tre anni e mezzo dall’invasione russa, la linea del fronte in Ucraina rimane un’entità fluida. Dopo i successi iniziali di Kyiv, le mappe ora mostrano recenti avanzate russe. Ritengo che il futuro del conflitto, tuttavia, sia sempre meno una questione militare e sempre più una questione politica, plasmata dalle decisioni prese a Washington sotto la presidenza Trump. La sicurezza europea si scopre ancora una volta dipendente da equilibri decisi oltreoceano.

La ricerca vacilla, l’Europa è chiamata a guidare

L’amministrazione Trump ha inferto un colpo da 500 milioni di dollari alla ricerca sui vaccini a mRNA, la tecnologia che si è rivelata fondamentale durante la pandemia di Covid. Esperti internazionali di sanità pubblica definiscono la mossa un’abdicazione alla più potente arma contro le pandemie, mettendo a rischio i progressi contro cancro e altre malattie. A mio avviso, questo disimpegno americano non è solo un taglio di budget, ma un vuoto di leadership globale che l’Europa è ora chiamata a colmare, magari ripensando il proprio ruolo come hub per l’innovazione.

Pressioni economiche e spiragli diplomatici in Medio Oriente

Mentre si aprono possibili spiragli per una tregua di 60 giorni a Gaza, con Hamas che secondo indiscrezioni sarebbe favorevole, dall’Europa arriva un segnale economico forte. Il fondo sovrano norvegese, il più grande al mondo con un portafoglio che supera i 1.670 miliardi di euro, ha escluso altre sei società israeliane dai suoi investimenti a causa del conflitto. Questa mossa, che porta a 23 il totale delle aziende dismesse, mostra come il capitale possa diventare uno strumento di pressione geopolitica.

I prossimi sviluppi, come sempre, su The Gist.


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