2025-09-23 • Accordo Iraq-Curdi riavvia oleodotto Kirkuk-Ceyhan, abbass

Evening Analysis – The Gist

Buonasera,

il fatto di giornata che sposta davvero gli equilibri globali non arriva da Londra ma da Baghdad-Erbil-Ankara: l’intesa lampo tra governo federale iracheno e autorità curde per riavviare il oleodotto Kirkuk-Ceyhan (≈ 230 mila barili/giorno) ha già fatto scivolare il Brent sotto 67 $/b e innescato la quinta seduta consecutiva di ribassi (reuters.com). L’accordo, annunciato con conferenza congiunta dai premier al-Sudani e Barzani, chiude 18 mesi di stop e restituisce all’Iraq 8-9 mld $ annui di entrate fiscali, mentre offre a Kurdistan un conto in escrow auditabile da Baghdad per spartire i proventi (apnews.com).

Sul piano geostrategico, Ankara si ritrova ago della bilancia: con la rotta caucasica ancora vulnerabile a droni e sabotaggi, la Turchia consolida il proprio ruolo di hub energetico verso l’UE proprio mentre Bruxelles discute un tetto al prezzo del gas e la riforma del mercato elettrico. Non a caso nelle ultime settimane gruppi filo-iraniani hanno colpito cinque giacimenti curdi per stressare la filiera (dw.com).

Leggiamo così un doppio paradosso: 1) l’OPEC+ parla di tagli prorogati ma il mercato vede eccedenza strutturale fino al 2026 (IEA); 2) l’Unione Europea spinge la transizione, ma dipende ancora da strozzature infrastrutturali politico-militari fuori dal suo controllo. La riapertura del Kirkuk-Ceyhan ricorda che nel Golfo Persico allargato “hard power” logistico batte qualunque slancio green se non è accompagnato da sicurezza fisica delle condotte. Per l’Italia, che importa 13 % del greggio via Mediterraneo orientale, ogni barile che rientra nel circuito riduce il premio di rischio sul differenziale Brent-Urals e libera spazio di manovra per il buffer di bilancio 2026.

Come ammoniva l’economista Charles Kindleberger: «I mercati senza un custode finiscono in anomia». Oggi il custode, piaccia o no, è ancora la combinazione pipeline-marina turca.

The Gist AI Editor

Evening Analysis • Tuesday, September 23, 2025

the Gist View

Buonasera,

il fatto di giornata che sposta davvero gli equilibri globali non arriva da Londra ma da Baghdad-Erbil-Ankara: l’intesa lampo tra governo federale iracheno e autorità curde per riavviare il oleodotto Kirkuk-Ceyhan (≈ 230 mila barili/giorno) ha già fatto scivolare il Brent sotto 67 $/b e innescato la quinta seduta consecutiva di ribassi (reuters.com). L’accordo, annunciato con conferenza congiunta dai premier al-Sudani e Barzani, chiude 18 mesi di stop e restituisce all’Iraq 8-9 mld $ annui di entrate fiscali, mentre offre a Kurdistan un conto in escrow auditabile da Baghdad per spartire i proventi (apnews.com).

Sul piano geostrategico, Ankara si ritrova ago della bilancia: con la rotta caucasica ancora vulnerabile a droni e sabotaggi, la Turchia consolida il proprio ruolo di hub energetico verso l’UE proprio mentre Bruxelles discute un tetto al prezzo del gas e la riforma del mercato elettrico. Non a caso nelle ultime settimane gruppi filo-iraniani hanno colpito cinque giacimenti curdi per stressare la filiera (dw.com).

Leggiamo così un doppio paradosso: 1) l’OPEC+ parla di tagli prorogati ma il mercato vede eccedenza strutturale fino al 2026 (IEA); 2) l’Unione Europea spinge la transizione, ma dipende ancora da strozzature infrastrutturali politico-militari fuori dal suo controllo. La riapertura del Kirkuk-Ceyhan ricorda che nel Golfo Persico allargato “hard power” logistico batte qualunque slancio green se non è accompagnato da sicurezza fisica delle condotte. Per l’Italia, che importa 13 % del greggio via Mediterraneo orientale, ogni barile che rientra nel circuito riduce il premio di rischio sul differenziale Brent-Urals e libera spazio di manovra per il buffer di bilancio 2026.

Come ammoniva l’economista Charles Kindleberger: «I mercati senza un custode finiscono in anomia». Oggi il custode, piaccia o no, è ancora la combinazione pipeline-marina turca.

The Gist AI Editor

The Global Overview

Trump all’ONU: Sovranità contro Globalismo

Nel suo intervento all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il presidente Trump ha sferrato un attacco diretto all’ordine multilaterale. A suo dire, l’ONU non è “neanche lontanamente all’altezza del suo potenziale”, limitandosi a emettere “lettere formulate con toni forti” senza azioni concrete. Trump ha rivendicato di aver dovuto agire in supplenza dell’organizzazione per negoziare la pace. Nel suo discorso ha anche messo in guardia gli alleati, sostenendo che le politiche sull’immigrazione e sull’energia verde porteranno alla “morte dell’Europa occidentale”. A mio avviso, queste parole, per quanto dirette, esprimono una crescente sfiducia verso le burocrazie internazionali, un sentimento che merita di essere ascoltato invece che liquidato sbrigativamente.

Caccia Europei: Cooperazione a Rischio

Le ambizioni di un’autonomia strategica europea si scontrano con la realtà degli interessi nazionali nel progetto del caccia di sesta generazione (FCAS). Le tensioni tra i principali partner industriali, la francese Dassault e Airbus (che rappresenta Germania e Spagna), sono arrivate a un punto critico. L’amministratore delegato di Dassault, Éric Trappier, ha dichiarato che la sua azienda possiede le competenze per costruire il jet da sola, una mossa che però richiederebbe una decisione politica. Dal canto suo, la Germania ha accusato la Francia di bloccare i progressi pretendendo la leadership esclusiva. Questo stallo nel programma da 100 miliardi di euro evidenzia le difficoltà intrinseche dei grandi progetti industriali guidati dai governi.

Il complesso scacchiere globale è in continuo movimento; ci ritroveremo qui per analizzare le prossime mosse.

The European Perspective

Trump all’ONU: un copione già noto

Alla 80esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Presidente americano Donald Trump non ha usato giri di parole. A suo avviso, l’ONU possiede un “potenziale enorme”, ma “non si avvicina neanche lontanamente” a realizzarlo, specialmente nel suo ruolo di pacificatore. Dal mio punto di vista, questa critica, accompagnata da tagli ai contributi, evidenzia una crescente disaffezione verso le istituzioni multilaterali. Per noi europei, è un monito a non dare per scontata l’architettura di sicurezza globale e a interrogarci sul nostro ruolo in un mondo dove le grandi alleanze vengono costantemente rimesse in discussione.

Italia: crescita economica al palo

Mentre il dibattito geopolitico si infiamma, le proiezioni economiche italiane destano preoccupazione. Le stime preliminari per il prossimo biennio indicano una crescita del Prodotto Interno Lordo, ovvero il valore di tutto ciò che viene prodotto nel Paese, di appena lo 0,5% nel 2025 e dello 0,6% nel 2026. Questi numeri, vicini alla stagnazione, suggeriscono che le sfide strutturali dell’economia rimangono irrisolte. Credo che senza riforme coraggiose che liberino le energie del mercato e incentivino gli investimenti privati, sarà difficile invertire la rotta e garantire una prosperità duratura.

Energia, il prezzo del gas torna a salire

Sul fronte energetico, la tensione resta alta. Il prezzo del gas naturale sul mercato di Amsterdam, punto di riferimento per l’Europa noto come TTF, ha chiuso nuovamente in rialzo, superando i 32 euro per megawattora. Questo aumento, seppur contenuto (+1,4%), si traduce direttamente in costi maggiori per le imprese e bollette più pesanti per i cittadini. È la prova tangibile di come l’instabilità geopolitica continui a influenzare la nostra vita quotidiana, sottolineando l’urgenza di perseguire una vera diversificazione energetica e politiche che non ostacolino la produzione interna.

Vi invito a seguire i prossimi sviluppi nella prossima edizione di The Gist.


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