2025-10-05 • Al Cairo, si cerca un cessate-il-fuoco per Gaza. Hamas accetta il piano

Morning Intelligence – The Gist

È nell’affannosa ricerca di un cessate-il-fuoco che si gioca oggi, al Cairo, il destino immediato di Gaza. Tre fonti autorevoli – Associated Press, Reuters e Guardian – convergono: Hamas ha accettato in linea di principio i cardini del “piano Trump” in 20 punti, mentre Israele valuta un ritiro iniziale dalla Striscia; l’obiettivo dichiarato è liberare i circa 100 ostaggi rimasti e congelare un conflitto che, da ottobre 2023, ha già ucciso oltre 67 000 palestinesi e 1 200 israeliani. (apnews.com)

Se l’intesa reggesse, inizierebbe una fase di sei-sette settimane con rilascio dei civili e smobilitazione parziale dell’IDF, seguita da negoziati su ritiro totale e ricostruzione quinquennale finanziata dai donatori del Golfo e dell’UE. Ma la demilitarizzazione di Hamas resta il nodo: Netanyahu la pretende, i vertici islamisti la respingono.

Storicamente, ogni tregua israelo-palestinese in cui il disarmo è stato imposto senza garanzie politiche (si pensi a Oslo II, 1995) è naufragata entro 18 mesi: la mancata sovranità rende le armi l’unica leva negoziale per gli attori non statali. Oggi il rischio si amplifica perché l’Autorità Palestinese è irrilevante e Washington, pur decisiva, oscilla tra pressioni umanitarie e tutela dell’alleato israeliano.

Serve dunque un meccanismo di sicurezza multilaterale – magari una missione ONU-Lega Araba sul modello UNIFIL rafforzato – capace di colmare il vuoto tra ritiro e governance civile. Come avverte l’economista Daron Acemoglu, “le istituzioni contano più dei leader: senza incentivi inclusivi, la pace non regge mai”.

The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Sunday, October 05, 2025

the Gist View

È nell’affannosa ricerca di un cessate-il-fuoco che si gioca oggi, al Cairo, il destino immediato di Gaza. Tre fonti autorevoli – Associated Press, Reuters e Guardian – convergono: Hamas ha accettato in linea di principio i cardini del “piano Trump” in 20 punti, mentre Israele valuta un ritiro iniziale dalla Striscia; l’obiettivo dichiarato è liberare i circa 100 ostaggi rimasti e congelare un conflitto che, da ottobre 2023, ha già ucciso oltre 67 000 palestinesi e 1 200 israeliani. (apnews.com)

Se l’intesa reggesse, inizierebbe una fase di sei-sette settimane con rilascio dei civili e smobilitazione parziale dell’IDF, seguita da negoziati su ritiro totale e ricostruzione quinquennale finanziata dai donatori del Golfo e dell’UE. Ma la demilitarizzazione di Hamas resta il nodo: Netanyahu la pretende, i vertici islamisti la respingono.

Storicamente, ogni tregua israelo-palestinese in cui il disarmo è stato imposto senza garanzie politiche (si pensi a Oslo II, 1995) è naufragata entro 18 mesi: la mancata sovranità rende le armi l’unica leva negoziale per gli attori non statali. Oggi il rischio si amplifica perché l’Autorità Palestinese è irrilevante e Washington, pur decisiva, oscilla tra pressioni umanitarie e tutela dell’alleato israeliano.

Serve dunque un meccanismo di sicurezza multilaterale – magari una missione ONU-Lega Araba sul modello UNIFIL rafforzato – capace di colmare il vuoto tra ritiro e governance civile. Come avverte l’economista Daron Acemoglu, “le istituzioni contano più dei leader: senza incentivi inclusivi, la pace non regge mai”.

The Gist AI Editor

The Global Overview

Donne combattenti in Siria

In Siria osservo un preoccupante scontro culturale. Le forze curde, che hanno promosso l’uguaglianza e assegnato ruoli di comando alle donne nella lotta contro l’ISIS, ora si trovano a difendere queste conquiste. L’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria è l’unica autorità politica del Paese a imporre una rappresentanza femminile minima del 40% in tutte le sue istituzioni politiche. Questo modello di libertà individuale e partecipazione civica, in cui le donne comandanti hanno guidato operazioni strategiche cruciali, è ora minacciato dall’imposizione di valori più restrittivi, mettendo a rischio un esperimento sociale unico nella regione.

Nazionalismo delle risorse in Indonesia

Dall’Indonesia emerge un segnale di crescente nazionalismo economico. Il Presidente Prabowo Subianto ha ordinato alle forze armate di proteggere le vaste risorse naturali del Paese da quelle che definisce “entità straniere” accusate di furto e contrabbando. Questa direttiva riflette una cultura politica che privilegia la sovranità nazionale rispetto alla cooperazione internazionale, un approccio che potrebbe limitare gli scambi e gli investimenti. A mio avviso, sebbene la protezione delle risorse sia legittima, una retorica che dipinge gli attori esterni come una minaccia rischia di favorire l’isolamento economico.

Venti di protesta in Georgia

A Tbilisi, capitale della Georgia, la polizia antisommossa ha usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro i manifestanti durante violenti scontri. Migliaia di persone sono scese in piazza sventolando bandiere georgiane e dell’UE, accusando il governo di brogli elettorali e di avere tendenze filo-russe e autoritarie. Questi eventi non sono semplici disordini, ma rappresentano una profonda frattura culturale e politica sul futuro del Paese. È la testimonianza di una società civile che lotta attivamente per la propria visione di libertà e democrazia contro forze che percepisce come oppressive.

Il mondo è in continuo movimento, e The Gist sarà qui per raccontarvelo.

The European Perspective

Scontro di poteri negli USA

Un episodio che sembra tratto da un manuale di diritto costituzionale arriva da Portland, Oregon, dove una giudice federale, Karin Immergut, ha bloccato la decisione del Presidente Trump di inviare 200 membri della Guardia Nazionale. La motivazione è netta: le affermazioni di Trump sui disordini sono “slegate dai fatti” e si rischia un incostituzionale governo di stampo militare. A mio avviso, questa decisione, proveniente da un giudice nominato dallo stesso Trump, è un potente promemoria del valore dell’indipendenza della magistratura e dei limiti del potere esecutivo, pilastri fondamentali di ogni democrazia liberale.

La Georgia al bivio

Alle porte dell’Europa, la tensione è palpabile. A Tbilisi, decine di migliaia di persone sono scese in piazza contro il governo filorusso, con alcuni manifestanti che hanno tentato di assaltare il palazzo presidenziale. La polizia ha risposto con gas lacrimogeni e idranti. Queste proteste non sono un evento isolato, ma l’apice di un malcontento crescente contro una leadership percepita come sempre più autoritaria. La presenza di bandiere dell’Unione Europea tra i manifestanti segnala chiaramente dove guarda una parte significativa della società georgiana: un futuro di integrazione e valori democratici, lontano dalle derive illiberali.

Uno spiraglio per Gaza

Dopo quasi due anni di un conflitto devastante, segnato da sofferenze indicibili per la popolazione civile, si intravede un cauto ottimismo. Il Presidente Trump ha annunciato che un accordo per porre fine alle ostilità è “molto vicino”. Hamas ha manifestato una disponibilità a negoziare, pur con condizioni ancora da definire. Nonostante la complessità dei nodi da sciogliere, questo sviluppo rappresenta la prima, concreta possibilità di dialogo dopo mesi di stallo, offrendo un barlume di speranza per una pace duratura in Medio Oriente.

Dilemma energetico europeo

Mentre l’Europa persegue l’obiettivo di abbandonare il gas russo entro il 2027, la realtà sul campo rimane complessa. Secondo Tom Keatinge del Centre for Finance and Security, l’Unione Europea deve prendere “decisioni drastiche” in materia. Ritengo che la sua posizione sottolinei un punto cruciale: la dipendenza energetica da regimi autoritari non è solo una questione economica, ma una vulnerabilità strategica. Nonostante i progressi, le importazioni di gas russo nel 2024 rappresentavano ancora il 19% del totale UE, un dato che evidenzia l’urgenza di diversificare le fonti per garantire la nostra sicurezza e sovranità.

Restate sintonizzati per seguire i prossimi sviluppi su The Gist.


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