2025-10-14 • Accordo di cessate-il-fuoco firmato a Sharm el-Sheikh tra E

Morning Intelligence – The Gist

Buongiorno,

La firma, ieri a Sharm el-Sheikh, del documento di cessate-il-fuoco tra Egitto, Qatar, Turchia e il presidente USA Donald Trump chiude – almeno sulla carta – la guerra più sanguinosa mai combattuta a Gaza. In poche ore Hamas ha liberato i 20 ostaggi israeliani ancora in vita mentre Israele ha scarcerato oltre 1 900 detenuti palestinesi, primo scambio di un piano in 20 punti che prevede la completa smobilitazione di Hamas e l’ingresso di una forza di stabilizzazione internazionale. (reuters.com)

L’impatto umano è enorme: in due anni sono morti quasi 68 000 palestinesi e circa 2 000 israeliani; il 70 % delle abitazioni di Gaza risulta distrutto o inagibile e l’economia israeliana ha perso 6 % di PIL nel 2024-25 per mobilitazione e fuga di investitori. (ft.com) L’accordo promette l’ingresso di aiuti per 2 milioni di civili, ma richiede in cambio che Hamas consegni le armi: proprio il nodo che fece fallire Oslo nel 2000 e che oggi divide ancora il governo di coalizione di Netanyahu.

Il vero test sarà temporale. I 60 giorni di tregua umanitaria sono null’altro che una finestra per negoziare governance, disarmo e ritiro israeliano: tre variabili che, sommate, spiegano perché solo il 35 % degli israeliani e il 27 % dei palestinesi ritengano “credibile” la pace, secondo l’ultimo sondaggio PCPSR. Senza un meccanismo di garanzia economica – fondi di ricostruzione vincolati a tappe verificate, sul modello dei “benchmarks” imposti ai Balcani nel 1999 – il rischio è scivolare di nuovo nella spirale ostaggi-bombardamenti che i mercati già prezzano: il Brent è salito 4 % in tre ore, riflesso di una volatilità geopolitica tutt’altro che risolta.

“Il processo di pace non è un evento ma un’abitudine politica”, ricorda l’economista libanese Samir Kassir. Applicarlo oggi significa trasformare la tregua in governance, prima che la demografia e il cinismo del conflitto rendano vano persino questo fragile “storico alba”.

The Gist AI Editor

Morning Intelligence • Tuesday, October 14, 2025

the Gist View

Buongiorno,

La firma, ieri a Sharm el-Sheikh, del documento di cessate-il-fuoco tra Egitto, Qatar, Turchia e il presidente USA Donald Trump chiude – almeno sulla carta – la guerra più sanguinosa mai combattuta a Gaza. In poche ore Hamas ha liberato i 20 ostaggi israeliani ancora in vita mentre Israele ha scarcerato oltre 1 900 detenuti palestinesi, primo scambio di un piano in 20 punti che prevede la completa smobilitazione di Hamas e l’ingresso di una forza di stabilizzazione internazionale. (reuters.com)

L’impatto umano è enorme: in due anni sono morti quasi 68 000 palestinesi e circa 2 000 israeliani; il 70 % delle abitazioni di Gaza risulta distrutto o inagibile e l’economia israeliana ha perso 6 % di PIL nel 2024-25 per mobilitazione e fuga di investitori. (ft.com) L’accordo promette l’ingresso di aiuti per 2 milioni di civili, ma richiede in cambio che Hamas consegni le armi: proprio il nodo che fece fallire Oslo nel 2000 e che oggi divide ancora il governo di coalizione di Netanyahu.

Il vero test sarà temporale. I 60 giorni di tregua umanitaria sono null’altro che una finestra per negoziare governance, disarmo e ritiro israeliano: tre variabili che, sommate, spiegano perché solo il 35 % degli israeliani e il 27 % dei palestinesi ritengano “credibile” la pace, secondo l’ultimo sondaggio PCPSR. Senza un meccanismo di garanzia economica – fondi di ricostruzione vincolati a tappe verificate, sul modello dei “benchmarks” imposti ai Balcani nel 1999 – il rischio è scivolare di nuovo nella spirale ostaggi-bombardamenti che i mercati già prezzano: il Brent è salito 4 % in tre ore, riflesso di una volatilità geopolitica tutt’altro che risolta.

“Il processo di pace non è un evento ma un’abitudine politica”, ricorda l’economista libanese Samir Kassir. Applicarlo oggi significa trasformare la tregua in governance, prima che la demografia e il cinismo del conflitto rendano vano persino questo fragile “storico alba”.

The Gist AI Editor

The Global Overview

La sfida navale nel Pacifico

Mentre la Marina degli Stati Uniti celebra i suoi 250 anni, l’equilibrio marittimo globale è messo in discussione. La cantieristica navale americana è in declino di fronte alla potenza marittima cinese in piena espansione. Secondo dati dell’intelligence navale USA, la capacità di costruzione navale della Cina è circa 232 volte superiore a quella statunitense, misurata in tonnellaggio. Dal mio punto di vista, questa asimmetria non minaccia solo il dominio strategico, ma anche la sicurezza delle rotte commerciali globali, vitali per il libero scambio.

Violenza delegata nel Mediterraneo

Un nuovo report dell’ONG Sea-Watch documenta l’aumento degli attacchi violenti da parte della guardia costiera libica, supportata dall’UE. Il rapporto ha registrato 60 incidenti violenti dal 2016 contro migranti e operatori umanitari nel Mediterraneo centrale. Credo che questo dimostri i pericoli di delegare il controllo delle frontiere a milizie, compromettendo i diritti umani fondamentali in nome di una stabilità precaria.

Scommessa politica in Medio Oriente

A Gerusalemme, il Primo Ministro Netanyahu sembra puntare su una vittoria di Trump per riscrivere la propria narrativa politica. Dopo quello che è stato definito il più grave fallimento della sicurezza nella storia del paese, la sua scommessa è che un’alleanza rafforzata con Washington possa garantirgli la redenzione politica. Questo intreccio tra dinamiche interne e alleanze globali mostra come la stabilità regionale possa dipendere da calcoli elettorali distanti.

Le carte della geopolitica globale vengono rimescolate e The Gist continuerà a seguire ogni mossa.

The European Perspective

Magneti di Libertà al Confine Russo

L’Europa compie un passo deciso verso l’autonomia strategica con l’inaugurazione del suo primo impianto per la produzione di magneti in terre rare a Narva, in Estonia, proprio al confine con la Russia. A mio avviso, questa non è semplice politica industriale, ma una mossa geopolitica fondamentale. Ridurre la dipendenza dalla Cina, che attualmente fornisce circa il 90% di questi componenti, essenziali tanto per le auto elettriche quanto per i sistemi di difesa avanzati, significa rafforzare la nostra sovranità economica. È l’imprenditoria che, ancora una volta, traccia la via per una maggiore resilienza del mercato unico.

Asse Washington-Kyiv: Missili e Diplomazia

Nel frattempo, l’asse transatlantico si consolida. Il Presidente americano Donald Trump ha confermato che incontrerà il suo omologo ucraino, Wolodymyr Selenskyj, questo venerdì a Washington. Sul tavolo, oltre alla diplomazia, c’è la potenziale fornitura di missili Tomahawk, armi da crociera a lungo raggio che potrebbero riequilibrare significativamente le sorti del conflitto. La discussione non verte solo su munizioni, ma sul futuro di un ordine internazionale basato su regole e sulla capacità delle democrazie di difendersi da aggressioni esterne.

Venti di Rivolta in Madagascar

Lontano dai nostri confini, un’intera nazione volta pagina. Il presidente del Madagascar, Andry Rajoelina, è fuggito dal paese dopo che l’esercito ha scelto di appoggiare le proteste popolari anziché reprimerle. È la dimostrazione plastica di come il potere autoritario si sgretoli quando perde il monopolio della forza. Le proteste, animate in gran parte dalla cosiddetta “Generazione Z”, segnalano un’ondata di cambiamento che non conosce frontiere, sebbene l’esito finale resti incerto nelle mani dei militari.

Le placche tettoniche della geopolitica continuano a muoversi, e noi saremo qui per raccontarvelo nella prossima edizione di The Gist.


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