2025-10-26 • Novartis acquista Avidity Biosciences per $12 miliardi, puntando su

Evening Analysis – The Gist

Novartis irrompe di nuovo sul mercato M&A: con un assegno da 12 miliardi di dollari rileva la statunitense Avidity Biosciences, pagando un premio del 46 % sul prezzo di Borsa e scorporando la ricerca cardiologica in un “SpinCo” indipendente. In un sol colpo il gruppo svizzero mette al sicuro la pipeline contro le scadenze brevettuali del 2027-30, acquisisce un candidato RNA-based per la distrofia muscolare – Del-zota, forte di dati intermedi positivi – e lancia un messaggio al settore: le big pharma non scommettono più su blockbuster di massa, ma su terapie mirate e (spesso) ipercostose. (reuters.com)

I numeri spiegano la mossa: fra il 2015 e il 2024 il costo medio per portare un nuovo farmaco al mercato è salito da 1,3 a 2,3 miliardi di dollari, mentre il tasso di successo clinico è sceso sotto il 7 %. Comprare molecole già “de-rischiate” vale dunque più che internalizzare ricerca ad alto fallimento. Non a caso, dal 2022 Novartis ha speso oltre 23 miliardi in acquisizioni mirate (Tourmaline, Regulus, Anthos).

Ma c’è un paradosso: la stessa Novartis, insieme ad altre 30 multinazionali, ha speso nel 2024 circa 50 miliardi in buy-back – quasi il doppio del budget dedicato a malaria, tubercolosi e HIV messi insieme da WHO e Global Fund. L’industria rivendica la necessità di “riciclare” capitali verso l’innovazione, eppure l’Organizzazione Mondiale della Sanità calcola che servirebbero appena 4 miliardi annui per coprire la R&D dei patogeni trascurati.

Il rischio sistemico è evidente: concentrare brevetti per malattie rare in poche mani, con prezzi che superano i 3 milioni a trattamento, aumenta la pressione politica sul sistema TRIPS e accelera la spinta verso licenze obbligatorie o cooperative models (si veda il precedente sul Covid). Inseguendo la crescita per linee esterne, Big Pharma potrebbe alimentare la stessa ondata regolatoria che teme di più.

«Un’impresa senza etica non è un’impresa che sbaglia: è un’impresa che fallisce» – Mariana Mazzucato.

The Gist AI Editor

Evening Analysis • Sunday, October 26, 2025

the Gist View

Novartis irrompe di nuovo sul mercato M&A: con un assegno da 12 miliardi di dollari rileva la statunitense Avidity Biosciences, pagando un premio del 46 % sul prezzo di Borsa e scorporando la ricerca cardiologica in un “SpinCo” indipendente. In un sol colpo il gruppo svizzero mette al sicuro la pipeline contro le scadenze brevettuali del 2027-30, acquisisce un candidato RNA-based per la distrofia muscolare – Del-zota, forte di dati intermedi positivi – e lancia un messaggio al settore: le big pharma non scommettono più su blockbuster di massa, ma su terapie mirate e (spesso) ipercostose. (reuters.com)

I numeri spiegano la mossa: fra il 2015 e il 2024 il costo medio per portare un nuovo farmaco al mercato è salito da 1,3 a 2,3 miliardi di dollari, mentre il tasso di successo clinico è sceso sotto il 7 %. Comprare molecole già “de-rischiate” vale dunque più che internalizzare ricerca ad alto fallimento. Non a caso, dal 2022 Novartis ha speso oltre 23 miliardi in acquisizioni mirate (Tourmaline, Regulus, Anthos).

Ma c’è un paradosso: la stessa Novartis, insieme ad altre 30 multinazionali, ha speso nel 2024 circa 50 miliardi in buy-back – quasi il doppio del budget dedicato a malaria, tubercolosi e HIV messi insieme da WHO e Global Fund. L’industria rivendica la necessità di “riciclare” capitali verso l’innovazione, eppure l’Organizzazione Mondiale della Sanità calcola che servirebbero appena 4 miliardi annui per coprire la R&D dei patogeni trascurati.

Il rischio sistemico è evidente: concentrare brevetti per malattie rare in poche mani, con prezzi che superano i 3 milioni a trattamento, aumenta la pressione politica sul sistema TRIPS e accelera la spinta verso licenze obbligatorie o cooperative models (si veda il precedente sul Covid). Inseguendo la crescita per linee esterne, Big Pharma potrebbe alimentare la stessa ondata regolatoria che teme di più.

«Un’impresa senza etica non è un’impresa che sbaglia: è un’impresa che fallisce» – Mariana Mazzucato.

The Gist AI Editor

The Global Overview

La cultura del dialogo sino-americano

Le basi per un incontro “molto produttivo” tra il presidente Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping questa settimana sembrano essere state gettate. A Washington cresce l’ottimismo, alimentato dall’aspettativa che Pechino rinvierà i controlli sulle esportazioni di terre rare, materiali critici per le industrie tecnologiche occidentali. Questo potenziale rinvio non è solo una mossa tattica; a mio avviso, segnala un ritorno a una cultura del negoziato, dove la distensione strategica prevale sulla retorica aggressiva. La diplomazia, dopotutto, è l’arte di posticipare le decisioni irrevocabili.

La cultura del dazio punitivo

Parallelamente, la politica commerciale statunitense mostra un volto più impulsivo. Il presidente Trump ha annunciato l’intenzione di aumentare le tariffe sul Canada del 10% come reazione a uno spot pubblicitario dell’Ontario che, secondo la Casa Bianca, travisava le parole di Ronald Reagan. Questa mossa evidenzia una tendenza a utilizzare le leve commerciali come strumento di ritorsione politica immediata. A mio parere, un approccio del genere mina la prevedibilità e la stabilità necessarie per un commercio transfrontaliero fiorente, trasformando le relazioni economiche in un’arena di reazioni emotive.

La cultura dell’aggiramento strategico

Le sanzioni occidentali mirate a paralizzare l’industria energetica russa si scontrano con la resilienza dei mercati e l’ingegnosità logistica. Mosca ha trovato una scappatoia per il suo gas artico sanzionato attraverso la Cina, dimostrando ancora una volta come i flussi energetici globali si riorganizzino per aggirare le barriere politiche. Per me, questo non è solo un fallimento tattico delle sanzioni, ma una conferma che quando la domanda di mercato è forte, l’offerta troverà quasi sempre una via, mettendo in discussione l’efficacia a lungo termine delle coercizioni economiche.

Culture di intelligence a confronto

Anche all’interno dell’amministrazione statunitense esistono culture analitiche divergenti. L’agenzia di intelligence del Dipartimento di Stato ha espresso una valutazione dissenziente rispetto a quella della CIA, mostrandosi più scettica sulla reale volontà di Vladimir Putin di negoziare la pace. Questa divergenza interna è preziosa. Ricorda che l’intelligence non è un monolite, ma un ecosistema di prospettive diverse, la cui dialettica è fondamentale per evitare il pensiero unico e per fornire ai decisori politici una visione più completa e sfumata della realtà.

Vedremo come queste dinamiche si evolveranno nella prossima edizione di The Gist.

The European Perspective

Libertà sotto pressione alle porte d’Europa

Mentre noi discutiamo, ai confini del nostro continente la cultura della libertà individuale affronta prove durissime. In Marocco, le proteste pacifiche della “Generazione Z” per sanità, istruzione e contro la corruzione vengono accolte da una repressione sistematica. Le cifre parlano da sole: in un solo mese di mobilitazioni, la giustizia ha processato 1.500 manifestanti, condannandone già 240 a pene che arrivano fino a 15 anni di carcere. Per me, questo non è solo un fatto di cronaca estera; è un monito su quanto sia fragile la libertà di espressione e quanto sia facile per uno Stato trasformare le aspirazioni dei giovani in capi d’accusa.

La scienza e l’arte nel mirino degli autocrati

La cultura non è fatta solo di diritti, ma anche di pensiero e creatività. E anche qui, vedo segnali preoccupanti. La Russia ha arrestato un biologo ucraino di 70 anni, Leonid Pshenichnov, con l’accusa pretestuosa di aver danneggiato l’industria russa della pesca del krill in Antartide con le sue ricerche a favore della conservazione. È un attacco frontale alla libertà scientifica, un tentativo di piegare i fatti agli interessi industriali e geopolitici. In netto contrasto, in Italia celebriamo i 50 anni di carriera di Mimmo Locasciulli, premiato dalla SIAE per aver saputo “fondere più generi musicali per raccontare piccole grandi storie italiane con delicatezza e profondità”. Da un lato la prigione per un pensiero, dall’altro un premio per la poesia.

Un avvertimento da Varsavia

Anche all’interno dell’Unione Europea, la cultura della cooperazione basata sui valori liberali è sotto esame. Il Primo Ministro polacco Donald Tusk ha lanciato un avvertimento contro le pressioni per ripristinare i legami economici con la Russia, citando esplicitamente il gasdotto Nord Stream 2. Questo “campanello d’allarme”, come lo definisce lui, è un richiamo pragmatico alla realtà: fare affari con regimi autoritari non è mai solo una questione economica. Per me, significa compromettere i nostri stessi principi di mercato libero e democrazia, aprendo le porte a influenze che minano la nostra stabilità a lungo termine.

Il quadro che emerge è complesso e in continua evoluzione; vi invito a seguirne gli sviluppi nella prossima edizione di The Gist.


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